Anzio nel Mito
La prima edizione
La prima edizione di “Anzio nel Mito”, svoltasi a fine agosto 2023 presso la Villa Comunale Corsini-Sarsina ha proposto ai suoi spettatori un cartellone di 4 spettacoli diversi tratti dal mito e dalla storia antica, scelti proprio allo scopo di valorizzare luoghi d’arte e cultura portandoli al centro della scena tutti con attori professionisti e con un ospite di eccezione come Roberto Ciufoli.
I luoghi
La prima edizione di Anzio nel Mito si è svolta dal 24 agosto al 27 agosto 2023: 1 ospite d’eccezione, 2 compagnie di produzione tetrale, 4 spettacoli, più di 20 artisti coinvolti, 10 operatori dello staff organizzativo; questi i numeri di un cartellone d’eccezione che ha accompagnato la città di Anzio in questo weekend di spettacolo.
Villa Sarsina prende il nome dagli Aldobrandini Principi di Sarsina che la tennero dal 1874 al 1926, ma la villa fu fatta costruire dal Cardinale Neri Maria Corsini di Firenze, tra il 1732 e il 1735, su presumibile progetto di Ferdinando Fuga.
Il cardinale era nipote di Clemente XII Corsini, Papa tra il 1730 e il 1740, motivo per cui si poteva ammirare sul circuito delle mura del belvedere un suo grandioso stemma.
Diverse sono le opinioni in merito alla sua destinazione: per alcuni all’interno di Villa Sarsina sorgevano i Portici e le Terme di Nerone, per via della vicinanza al Circo, per altri era la sede di un Teatro, per altri ancora di un Ippodromo.
Nel 1746 la Villa ospitò il re del Portogallo in esilio, Don Pedro di Braganza.
Fu acquistata per la somma di 20.000 scudi dal cavaliere Lorenzo Mencacci, nel 1820 ma qualche anno più tardi, nel 1870, il principe Aldobrandini di Sarsina, ritiratosi ad Anzio dopo aver combattuto come capitano delle guardie pontificie, acquistò la proprietà.
Dagli Aldobrandini l’edificio passò nelle mani della famiglia Cassis, Ferlosio e Mazza, e poi, nel 1958 al comune di Anzio, per 25 milioni di lire.
Nell’ultimo conflitto mondiale ha ospitato gli sfollati e subì danni molto seri, alcuni dei quali irreparabili.
Oggi sono scomparse le ricche decorazioni interne che un tempo abbellivano la Villa.
Al suo interno si trovava un salone ed una galleria per la musica, mentre al pian terreno vi era un ambiente dedicato alle funzioni religiose.
Anche il giardino della Villa andò distrutto, dopo essere divenuto di proprietà dell’Ospedale Militare.
Nel 1931 durante alcuni lavori di rinforzo alle fondazioni fu scoperta una splendida nicchia, che oggi si trova all’Antiquario del Museo Nazionale Romano, raffigurante Ercole sdraiato.
Insieme a Villa Adele e Villa Albani, rappresenta una delle tre maggiori ville di grande interesse architettonico ad Anzio.
Gli spettacoli
Può il più famoso testo omerico, il racconto del viaggio più incredibile della storia, diventare la base di un monologo comico? L’attore rimasto nel cuore del pubblico per essere uno dei volti della Premiata Ditta, spiega le vele per partire insieme a Ulisse e raccontare la sua personale Odissea. Perché in fondo il re di Itaca dov’è stato? Dopo il lungo assedio di Troia è partito, dritto verso casa e la sua bella Penelope o ha girovagato per dieci anni senza saper bene cosa fare prima di ritrovare la strada? Rappresenta l’immagine dell’uomo moderno o semplicemente un distratto? Il quesito che da secoli attanaglia studiosi e letterati finalmente troverà risposte. Roberto Ciufoli propone una riscrittura del famoso poema, una personale Odissea. Ulisse e il suo viaggio senza fine: la curiosità, la voglia di conoscere e di esplorare ciò che c’è o dovrebbe esserci in ognuno di noi. Un’occasione irrinunciabile per un’approfondita analisi comica, da non perdere anche per i non esploratori. Roberto Ciufoli, attore, doppiatore, comico e regista teatrale porta così in scena un grande classico della letteratura occidentale. Lo fa a suo modo con la sagace ironia che lo contraddistingue.
Per celebrare l’anniversario dei 1955 anni dalla suamorte, la compagnia campana Il Demiurgo ha proposto uno spettacolo dedicato a Nerone. Uno dei personaggi più discussi e influenti della storia, un imperatore romano di cui si è scritto tantissimo, e su cui si è dibattuto enormemente: le fonti sono sempre di parte, e spesso state messe in discussione. Le poche azioni certe e documentate che ci sono sopraggiunte sono poi ambigue e frammentate. Eppure già bastano a raccontare la storia affascinante e coinvolgente d’un imperatore sempre in bilico tra grandezza e follia, genio e crudeltà. Nerone è metafora del potere. Un potere che schiaccia e corrompe, corrode e muta l’essenza degli uomini. Il nostro Nerone è un personaggio tormentato, circondato dagli spettri d’una vita cruenta, segnata dal tradimento e dalla violenza.
Le idi di marzo, liberamente ispirato al “Giulio Cesare” di Shakespeare, rivisita il conflitto esemplare e sempre attuale tra democrazia e autoritarismo, tra repubblica e impero e svela magistralmente la dimensione teatrale della politica, la sua retorica, la sua finzione; una storia, dunque, che parla del potere e delle sue forme, che affonda le sue radici nell’antichità ma resta attualissima nello svelare gli inganni della politica di oggi. In una messinscena scenograficamente minima, lo spettacolo è affidato alla potenza del testo e alla fisicità degli attori che ci mostrano come la storia si sveli come una grande arena della persuasione in cui la forza della parola, la simulazione e la dissimulazione forgiano i destini degli uomini. La trama è semplice e lineare: l’assassinio di Gaio Giulio Cesare visto dagli occhi dei suoi protagonisti. Uno spettacolo corale, potente, con una scenografia pressoché inesistente, per dar voce e corpo agli attori e ai loro personaggi, che seguono una coreografia che ricorda a un tempo danze tribali e la Haka della nazionale di rugby neozelandese All Blacks, col torso nudo e tatuato a contraddistinguere le parti contrapposte, Bruto/Cassio e Cesare/Marco Antonio, mentre l’indovino fa quasi da voce narrante, avvertendo, inascoltato, Cesare del pericolo delle idi di marzo. A nulla varranno consigli e raccomandazioni, senza esito il sogno premonitore della moglie Calpurnia, Giulio Cesare andrà in Senato ed incontro alla morte, colpevole di aver tradito gli ideali repubblicani di Roma.
Tebe, quarto secolo avanti Cristo. O Roma, terzo secolo dopo Cristo. O una qualsiasi città italiana, il secolo scorso. Molte sono le ambientazioni possibili di questa commedia immortale scritta da Plauto che Molière riprende molti secoli dopo e che molti altri dopo di lui riscriveranno, consegnandola alla storia come uno dei miti antichi più foriero di fortunate rivisitazioni. La storia è nota a tutti: Anfitrione deve lasciare Tebe e la sua amatissima moglie Alcmena per prendere parte alla guerra contro Telebe. Giove, attratto dalla bellezza di Alcmena, scende allora dall’Olimpo assumendo le fattezze di Anfitrione, accompagnato dall’astuto Mercurio, che invece prende le sembianze di Sosia, il servo del protagonista. L’inganno creerà una serie di spassosissimi equivoci quando il vero Anfitrione tornerà a casa provocando liti, incomprensioni e momentanee riappacificazioni che, a discapito dei malcapitati personaggi, faranno divertire il pubblico fino allo scioglimento finale. Il testo Molièriano da Plauto prende il tema del doppio e del conflitto tra umano e divino, calandolo nel contesto mondano, leggero, ma anche crudele, della Parigi dei suoi tempi, amplificando il tema dell’equivoco d’amore e del tradimento. La regia di Silvia Ponzo e Nino Sileci per Opificio03 sceglie la versione molièriana, alleggerendola nella ripetitività di alcune sue scene (soprattutto nella sua parte finale) pur senza tradirla e mettendo al centro il nucleo comico della commedia: l’equivoco che genera sì divertimento ma anche un pizzico di sanissima inquietudine. Dal punto di vista puramente estetico le scene e i costumi trasportano le vicende in una non precisata località del secondo dopoguerra in un’atmosfera che attraverso le musiche e i costumi dell’Italia di quegli anni, prende forma in una cornice poetica, onirica e neorealista. L’intento non è però meramente estetico; si vuole così sottolineare l’universalità del mito e come uno dei leitmotiv più longevi della storia ci parli ancora adesso dandoci ancora oggi l’occasione di ridere dell’essere umano e delle sue debolezze per scoprire che, in fondo, dall’antichità ad oggi, non siamo poi così cambiati.