Le Baccanti

Una produzione di Opificio 03

Regia di Silvia Ponzo

Lo spettacolo

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Rappresentate postume poco dopo il 406 a.C., le Baccanti, ultima tragedia scritta da Euripide, portano in scena lo scontro tra il dio fattosi uomo Dioniso e il sovrano Penteo che, non accettando l’essenza divina di Dioniso, per questo sarà punito con una morte che assume caratteristiche rituali ed universali. Dioniso, insieme ad un coro di Menadi sue seguaci, giunge, in veste umana, a Tebe dove le sorelle della madre mortale Semele negano l’unione celeste della loro sorella con Zeus e la natura divina del figlio nato dal loro amore, Dioniso appunto. Dello stesso avviso è il giovane sovrano Penteo che ha appena ereditato la corona dal vecchio Cadmo, fondatore della città.

Tutta la “classe dirigente” della città ellenica si rifiuta di credere al dio e di tributargli i giusti onori: è l’ubris necessaria perché il meccanismo tragico possa mettersi in atto. Dioniso renderà folli le sorelle della madre e tutte le donne tebane, spingendole a lasciare i figli e le loro case, le trasmuterà in Bacanti che compiono i suoi segreti rituali sulle cime del monte Citerone e lui, fingendosi un giovane seguace del dio, sconvolgerà tutta la città: si farà imprigionare per liberarsi magicamente, compirà miracoli, raderà al suolo il palazzo del tiranno, tutto sotto gli occhi di un Penteo sempre più sconvolto e stralunato che, seppur vedendo il suo potere e la sua autorità scivolargli sempre più dalle mani, si rifiuterà, con caparbietà, di riconoscere il dio.

E per questo verrà appunto punito: ammaliandolo, seducendolo, quando egli sarà al culmine della rabbia e sull’orlo del crollo, lo trasformerà in una baccante e, dopo averlo spinto sopra il Citerone per spiare i riti delle Menadi, da quelle stesse Menadi impazzite (alla testa delle quali sta la sua stessa madre, Agave, che lo scambia per un leone) il giovane sovrano tebano, come una vittima sacrificale, verrà fatto a pezzi per affermare la potenza della rivelazione divina contro la testardaggine della cecità umana.

 

Visione del testo

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E’ stato spesso affermato che la tragedia delle Baccanti nascesse da un rinnovato interesse dell’epoca per i culti misterici che andavano affermandosi in Grecia in tarda età classica; che fosse dunque una sorta di inno di Euripide nei confronti di una nuova religiosità, più mistica e spirituale, in contrapposizione a quella ufficiale. E nonostante ciò possa essere plausibile, è chiaro che nel testo c’è molto di più: un nucleo centrale molto più universale che ci parla ancora adesso e che rende le Baccanti ancora attuali e dal quale si è voluti partire per la realizzazione di questa messa in scena. Il nucleo centrale delle Baccanti sta nel contrasto tra lo spirituale e il materiale, tra il mistico e il pragmatico, tra il mondo come ci appare, logico, razionale, guidato dalla scienza e dalla tecnica, e un mondo altro, intangibile e misterioso che non segue le regole della ragione, che non può essere visto dagli occhi, la cui presenza è percepibile da ogni essere umano che vada oltre ciò che è appunto visibile.

E’ qualcosa che prescinde la materia, che ha a che fare con il nostro spirito ed è una dimensione che l’uomo moderno, sempre più pervaso da un pragmatismo materialista sempre più schiacciante, ha escluso dalla sua vita.

Le Baccanti sono la metafora di questa esclusione e del rischio che comporta tale esclusione. Penteo dunque rappresenta l’uomo moderno, la società occidentale nel suo cieco materialismo; Dioniso e le Baccanti sono il richiamo dello spirito, della terra e di tutto quel mondo ancestrale e immateriale che pure è intrinseco nella natura umana. Un richiamo mistico, dunque, ma che se inascoltato diventa terribile; e ben lungi dunque da esservi una piatta contrapposizione tra bene e male, tra naturale e artificiale, i contorni dei due schieramenti sfumano: Penteo è sì il simbolo della modernità materialista ma è anche l’uomo comune, l’emblema dell’uomo occidentale che ha perso ogni tipo di fede e si sente perso in un mondo povero di speranza, privo di ogni tensione immateriale, di ogni visione dell’infinito; mentre Dioniso da istanza spirituale, da luminoso misticismo diventa follia assume i connotati del rischio opposto di eccedere dalla parte opposta e diventa la metafora che sta alla base della tragedia: tu, uomo mortale, vivi la tua vita terrena non dimenticando l’invisibile, l’altro, ciò che va oltre perché chi rifiuta l’esistenza di qualcosa di altro oltre ciò che vediamo, un giorno, da quell’altro, verrà schiacciato.

La tragedia dunque nel finale non si ricompone, non c’è una soluzione al conflitto tra materiale e immateriale, quello che rimane è la speranza, irrealizzata nelle vicende di Penteo, Agave e di tutta la città di Tebe, di trovare un equilibrio tra le due istanze più intrinseche della natura umana. Altro punto centrale della tragedia è il perfetto parallelismo sul quale si vuole insistere anche nella messinscena, tra la figura di Penteo e quella di Dioniso. Due personaggi agli antipodi all’inzio della tragedia che si ritroveranno agli antipodi anche alla fine, ma in un rapporto di valore completamente invertito. Penteo è il sovrano, Dioniso lo straniero, Penteo è il potente che cattura e imprigiona il dio non compreso, Penteo condanna Dioniso che subisce la sua cieca violenza.

Ma il meccanismo tragico inverte tutti i fattori: Penteo da cacciatore diventerà il cacciato, la vittima sacrificale, il capro espiatorio, Dioniso da straniero sarà riconosciuto dio dell’Ellade nato da Semele, da imprigionato si libererà e imprigionerà Penteo nella sua trappola che lo porterà alla morte e di lui, che ad inzio tragedia minacciava di tagliare la testa al giovinetto le cui sembianze ha preso il dio, entrerà in scena sul finale solo la sua testa trasportata in cima ad una picca dalla sua stessa madre Agave.

 

Note di regia

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Per mettere in luce le tematiche che, come si è esplicitato nel paragrafo precedente, vengono ritenute centrali in questa visione della tragedia, si è voluti partire da un lavoro sul testo volto a mantenere fedeli i versi di Euripide ma ad arrivare anche al loro centro, al loro nucleo.

Un lavoro dunque che preferisce, soprattutto per quanto riguarda i cori, ma non solo, affidarsi alla potenza delle immagini, a lasciare che le parole sgorghino e riempiano la scena solo quando strettamente necessario, pur non tradendo in nulla, come si diceva, il testo euripideo. Tutta la messinscena dunque è un’unione tra immagine e parola, tra corpo che vive e rappresenta e pensiero che si anima nelle parole e nella voce. E questo sarà esemplare nei cori delle Baccanti, ridotti testualmente all’osso per recuperare quella dimensione anche di danza e canto dei cori greci originali, ma rivisitati in chiave moderna: le baccanti sono ora mistiche sacerdotesse, ora danzatrici melodiose, ora combattive guerriere, ogni fibra del loro corpo partecipa alla creazione di un ambiente, un’immagine, un’atmosfera diversa che muta a seconda dell’evolversi della tragedia.

La dicotomia tra fisico e metafisico, tra materiale e spirituale di cui si parlava sopra avrà corrispondenza nella grammatica della messinscena: le Baccanti e Dioniso che rappresentano il mistico e lo spirituale avranno dunque un movimento più simbolico, danzato, immaginifico in quanto portatore di immagini; Penteo, così come il pastore e il messaggero, avranno invece un corpo e un movimento più quotidiano che cambierà nel corso della tragedia a mano a mano che l’ultraterreno e la sua forza terribile irromperà nelle loro vite.

A metà stanno Cadmo e Tiresia che in questa visione della tragedia rappresentano la via di mezzo tra il mistico e il materiale: sono gli uomini comuni, che accettano il divino pur non cadendo nell’eccesso (e, da notare, per due ragioni ben diverse: Tiresia rappresenta la scienza illuminata, la ragione che conosce e che comprende la necessità dell’inconoscibile, Cadmo la saggezza popolare che vive il misticismo con una punta di sano pragmatismo).

 

Stampa

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“La regia di Silvia Ponzo ha sapientemente miscelato modernità ed arcaicità attraverso le sonorità, i costumi, le coreografie e mentre le baccanti hanno mantenuto un loro ruolo archetipico, al di là del tempo e dello spazio, gli altri personaggi si sono fatti attuali per evidenziare l’atemporalità delle tematiche”

Il Cast

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Maria Sara Amenta
Baccante
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Fabio Camassa
Cadmo
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Lorenzo De Santis
Dioniso
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Alessandra Desideri
Baccante
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Eleonora Di Raffaele
Baccante
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